Proposta Radicale 21/22 2024
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Editoriale

8 di ottobre del 2013, un martedì. Quel giorno, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decide che è giunto il momento di avvalersi di una sua prerogativa costituzionale, quella prevista dall’articolo 87: “Il Presidente della Repubblica…può inviare messaggi alle Camere”. Da tempo Marco Pannella sollecita un suo intervento sulla questione delle carceri, le condizioni di vita dei detenuti, degli agenti della polizia penitenziaria e l’intera comunità carceraria.

Napolitano verga un articolato messaggio per Senato e Camera dei deputati. Il suo primo messaggio presidenziale. Già la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo pesantemente e ripetutamente sanziona l’Italia; Pannella, con i digiuni di “dialogo” ricorda che l’Italia si trova in «una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena e nello stesso tempo una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose”.

Napolitano denuncia la pervicace e dolosa inerzia del Parlamento; individua e indica “la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale”. La realtà carceraria, dice, “rappresenta un’emergenza assillante che va affrontata…esaminando con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”.

Il Presidente si fa carico di suggerire una possibile strada da percorrere: “rimedi straordinari”, come indulto e amnistia, per adempiere “a precisi obblighi di natura costituzionale e all’imperativo morale e giuridico di assicurare un civile stato di governo della realtà carceraria…Questioni e ragion che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia”. 

Già nel luglio 2011 Napolitano, aveva definito quella delle carceri “tema di prepotente urgenza”.

Cambiano esecutivi, senatori, deputati; indifferenza, apatia, inerzia, restano. Continuano a sgovernare come sempre, maggioranze e opposizioni affratellate.

Il sovraffollamento carcerario (compreso quello minorile) è letteralmente fuori controllo, ha superato ogni tollerabile livello di guardia. Si prenda l’ultimo rapporto Antigone: i penitenziari sulla carta prevedono una capienza di 51.249 posti (ben 3.646 per vari motivi non sono disponibili). Per contro, poco meno di 60mila persone vi sono stipate, il 26,6 per cento in attesa di sentenza definitiva. I rapporti della Caritas-Migrantes certificano che si registra un crescente aumento degli ingressi di minori in carcere. I Garanti dei detenuti avvertono che la popolazione negli istituti minorili è destinata ad aumentare del 20 per cento, in strutture già ora sature. Crisi anche per quel che riguarda il corpo della polizia penitenziaria. “Antigone”, sulla base di dati ufficiali raccolti al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, fa sapere che l’organico è di poco più di 37mila unità; gli operativi tuttavia scendono a poco più di 32mila, una carenza di organico del 12,5 per cento. Poi i suicidi, ogni anno, da anni, centinaia; per non parlare dei tentati suicidi sventati; degli atti di autolesionismo. Solo quest’anno al 31 maggio 37 detenuti sono “evasi” definitivamente in questo modo. Questo macabro elenco lo trovate nella rubrica “Obituaries”. 

Per tornare a Napolitano, il Presidente invita a “considerare l’esigenza di rimedi straordinari”. In concreto: 

La prima misura su cui intendo richiamare l’attenzione del Parlamento è l’indulto, che – non incidendo sul reato, ma comportando solo l’estinzione di una parte della pena detentiva – può applicarsi ad un ambito esteso di fattispecie penali (fatta eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). Ritengo necessario che il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia. Rilevo che dal 1953 al 1990 sono intervenuti tredici provvedimenti con i quali è stata concessa l’amnistia (sola o unitamente all’indulto). In media, dunque, per quasi quaranta anni sono state varate amnistie con cadenza inferiore a tre anni. Dopo l’ultimo provvedimento di amnistia (d.P.R. n. 75 del 1990) – risalente a ventitré anni fa – è stata, approvata dal Parlamento soltanto una legge di clemenza, relativa al solo indulto (legge n. 241 del 2006)”.

L’indulto, osserva Napolitano, “avrebbe l’immediato effetto di ridurre considerevolmente la popolazione carceraria”. L’amnistia “consentirebbe di definire immediatamente numerosi procedimenti per fatti “bagatellari” (destinati di frequente alla prescrizione se non in primo grado, nei gradi successivi del giudizio), permettendo ai giudici di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva. Ciò avrebbe l’effetto – oltre che di accelerare in via generale i tempi della giustizia – di ridurre il periodo sofferto in custodia cautelare prima dell’intervento della sentenza definitiva (o comunque prima di una pronuncia di condanna, ancorché non irrevocabile)”.

Da un “Giorgio” laico a un Jorge, Pontefice venuto da “quasi la fine del mondo”. Dieci anni fa papa Francesco telefona a Pannella. Si informa delle sue condizioni di salute, dopo l’intervento d’urgenza all’aorta addominale. Un colloquio che dura una ventina di minuti. Dopo quella telefonata, è il caso di dire, ristoratrice, Marco interrompe lo sciopero della sete intrapreso per chiedere, pensa, il miglioramento delle condizioni dei detenuti nelle carceri. Uno sciopero iniziato nonostante l’intervento all’aorta. Bergoglio chiede se corrisponde al vero quanto ha letto sui giornali circa l’intenzione di riprendere subito lo sciopero della fame e della sete. “È così”, conferma Marco. Spiega che solo in questo modo può forse tenere alta l’attenzione dei mezzi di comunicazione sulle condizioni disumane dei detenuti. Anche a costo di mettere a repentaglio la sua salute, già debilitata a causa dell’intervento. 

I due si parlano ancora, il Papa trova le parole giuste: Marco decide di interrompere almeno in parte, lo sciopero della sete: beve un caffè, si sottopone a due trasfusioni di sangue; fatto questo, lo sciopero riprende. Francesco esorta Pannella ad essere coraggioso: “Anche io l’aiuterò contro questa ingiustizia”. E Marco: “A favore della giustizia, Santità”. Ancora il Papa: “Io ne parlerò di questo problema, ne parlerò dei carcerati…”.  

Quella telefonata è la conferma che Papa Francesco segue con molta attenzione quanto Pannella cerca di fare in favore dei diritti dei detenuti; del resto, in qualche modo lo aveva dimostrato visitando, subito dopo la sua elezione al pontificato, il carcere minorile di Casal del Marmo e lavando i piedi a dodici ragazzi detenuti.

Da sempre, Marco e il Partito Radicale lottavano per una giustizia più giusta e per l’amnistia, che alleggerirebbe la disumana situazione carceraria che è sotto gli occhi di tutti: questo il suo e nostro 25 aprile. Marco ci ricordava che l’Unione Europea ha condannato lo Stato italiano innumerevoli volte, imponendo anche risarcimenti ai detenuti vittime. “Una situazione inaccettabile, che dovrebbe essere giudicata da un tribunale internazionale”.

Pannella ci ha lasciato anni fa. Il Papa venuto da quasi la fine del mondo c’è ancora. Potrebbe, sarebbe auspicabile, utile, necessario, telefonasse ora ai due inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi: per dire loro che la vera sconfitta dello stato italiano non sono eventuali amnistie o indulti, ma questa situazione che dura da sempre nelle carceri; gli oltre trenta detenuti che dall’inizio dell’anno si sono tolti la vita; le condizioni atroci in cui opera l’intera comunità penitenziaria, i direttori, gli agenti di custodia, il personale tutto: una comunità anch’essa sofferente, meritevole di una parola di conforto, sostegno, vicinanza. Per qualcuno, forse, l’intervento di Papa Francesco potrebbe costituire una sorta di interferenza. Per noi sarebbe una benedetta, salutare, interferenza.

Meritoriamente Radio Radicale ha trasmesso, integralmente, senza mediazione i tre giorni di lavoro dell’associazione nazionale dei magistrati a Palermo. Man mano che gli interventi si susseguivano, un crescente sentimento di inquietudine: intervento dopo intervento, la conferma che si vive in un paese dove la magistratura fa paura: l’arrogante pretesa che non si possono fare riforme sulla giustizia senza il permesso e il placet dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ma chi l’ha detto e dove sta scritto che il politico deve chiedere e ottenere il permesso della magistratura associata per mettere mano alle necessarie riforme sulla giustizia?

Tutti gli intervenuti (e qualche politico si è prontamente accodato), si sono scagliati contro l’ipotesi della separazione delle carriere; ci dicono che è un falso problema, già ora pochissimi sono i casi di Pubblici ministeri che poi scelgono di fare i giudici. Non è questione di quantità. È questione di principio. Sono due funzioni diverse. Devono essere esercitate in luoghi diversi, separati. I Pubblici Ministeri non si devono trovare, come oggi accade, gomito a gomito con i giudici. Dicono che non è il problema, altre sono le urgenze. Ma se questo non è il problema, perché si scaldano tanto? Perché tirano in ballo Mussolini, Licio Gelli, che così si paralizzano le indagini e si mette la mordacchia ai magistrati. Come può essere questo finimondo, se come dicono, non è un problema? Bene.

Responsabilità del Pubblico Ministero: «Se vogliamo realisticamente affrontare i problemi, evitando di rifugiarci nel comodo ossequio formale dei principi, dobbiamo riconoscere che il vero problema è quello del controllo e della responsabilità del Pubblico Ministero per l’esercizio delle sue funzioni». Chi lo ha detto? Falcone. Convegno di studi giuridici a Senigallia, 15 marzo 1990.

Obbligatorietà dell’azione penale: «Mi sembra giunto il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del Pubblico Ministero finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività». Chi lo ha detto? Falcone, convegno di studi giuridici a Senigallia, 15 marzo 1990.

Separazione delle carriere: «Timidamente, tra molte esitazioni e preoccupazioni, comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del Pubblico Ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e quindi le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere…a me sembra che continuando a disciplinare unitariamente la carriera dei magistrati con funzioni giudicanti e quella dei magistrati requirenti, non si potranno cogliere normativamente le specificità delle funzioni requirenti e, quindi, non si potranno disciplinare adeguatamente quei passaggi centrali in cui in concreto si gioca l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero…». Chi lo ha detto? Falcone, in La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia, Rizzoli editore.

Non Mussolini, non Gelli, non qualche altro personaggio che vuole legare mani e piedi ai magistrati. Falcone. E nessuno di lor signori che abbia speso una parola, una riflessione, un pensiero sulla situazione delle carceri, a come la Giustizia in Italia viene amministrata.

Citati Napolitano, Papa Francesco, Pannella, ecco perché la nostra sezione “commenti” si apre con l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sui suicidi in carcere e la necessità di urgenti interventi; Governo e Parlamento non hanno minimamente raccolto il messaggio; e sempre in tema carcere e giustizia gli interventi di Luciana Littizzetto, don Ettore Cannavera, Guido Salvini, Otello Lupacchini, Salvatore Sechi. L’inizio di un discorso che questa rivista tratterà anche nei prossimi numeri. 

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